L’Italia risulta essere il peggior paese nella protezione sociale del lavoro
Non è una semplice supposizione ma la cruda constatazione dei numeri che a livello europeo segnalano la perdita complessiva del monte salari, dovuta alla pandemia, rispetto al PIL di ogni singolo paese UE.
Secondo le tabelle Eurostat in Italia si è passati da 525,732 miliardi nel 2019 a 486,459. In Francia nello stesso periodo si sono persi 32 miliardi (ma su una massa salariale ben diversa) con un -3,42% e in Germania appena 13 miliardi su oltre 1.500 (-0,87%). Nell’Ue a 27 il calo del monte salari è pari all’1,92%.
Numeri che impietosamente testimoniano la durezza delle politiche di smantellamento del sistema di protezione sociale degli ultimi 30 anni almeno.
Il quadro è persino più grave di quanto riporta Eurostat. Se non fossero state decise dal governo misure di contenimento degli effetti occupazionali e reddituali dovuti alla pandemia, dal blocco dei licenziamenti al rinnovo dei contratti a termine sarebbe stato ben più alto il dato.
È bene ricordare che il crollo di 40 miliardi contiene anche la pesante decurtazione salariale nel trattamento di cassa integrazione ben al di sotto dell’80% in virtù dei massimali imposti dai governi di centrosinistra alla fine degli anni novanta del secolo scorso.
Impressionante anche la mole economica delle mancate entrate all’Inps.
Sul banco degli imputati non ci sono solo i diversi governi, di qualsiasi colore, che hanno progressivamente manomesso il sistema di protezione sociale, il diritto del lavoro e che hanno legittimato la precarietà sino a renderla condizione unificante del lavoro. CGIL CISL UIL sono colpevoli pari grado per aver accompagnato e condiviso questo processo.
La pandemia è uno screening di massa senza precedenti a livello sociale che mette a nudo le profonde ingiustizie che attraversano il paese.
Nella normalità produttiva il sistema tende a occultare o ridimensionare la reale condizione di parte del lavoro subordinato.
La pandemia rappresenta l’Italia per quello che è oggi. Un paese senza più un sistema di ammortizzatori sociali né universale, né adeguato, dominato dalla precarietà dei contratti, bloccato nelle sue dinamiche salariali dai tanti, inutili e dannosi patti e pattini con cui CGIL CISL UIL Confindustria hanno deciso il progressivo impoverimento dei lavoratori e delle lavoratrici.
Un paese piccolo piccolo che precipita sotto il peso di un debito pubblico ormai oltre il 160% del PIL.
Se nulla cambierà sul terreno del conflitto sociale quel debito è destinato a condurre ad una nuova violenta ristrutturazione neoliberista dell’impianto statuale e del welfare residuo.