Di Stefano Valerio
È ormai da diverse settimane che è conclamata la “crisi” dei grandi produttori automobilistici globali, Stellantis inclusa, con conseguenze ovviamente pesanti per le lavoratrici e i lavoratori del settore in termini di cassa integrazione. E così, aumenta il pressing di sindacato e politica nei confronti della proprietà aziendale affinché Stellantis presenti un piano industriale in cui sia contemplato un deciso aumento dei volumi produttivi previsti in Italia, così da tutelare le prospettive di lavoro sul territorio nazionale. Ma sarà davvero questa la soluzione?
Torino, 15 ottobre 2024. È mattina. Mi appresto ad andare per un volantinaggio verso la porta 20 dello stabilimento Stellantis di Mirafiori, in Corso Settembrini, lì dove entrano le operaie e gli operai delle Meccaniche, addetti alla produzione dei cambi per le auto del colosso industriale italo-francese. È da un po’ di tempo che non vado da quelle parti per distribuire dei volantini e, mentre sono sempre piu vicino alla fabbrica, mi dico che naturalmente non sara mai la mia presenza di piccolo e saltuario militante a determinare un cambiamento nella situazione di chi lavora lì. Senza nulla togliere, ovviamente, alla generosità di quelle compagne e di quei compagni tendenzialmente piu anziani che con una frequenza molto maggiore della mia saltellano ancora oggi, di mese in mese, se non di settimana in settimana, da una Porta all’altra dello stabilimento di Mirafiori per diffondere il verbo del conflitto di classe. Piuttosto, concludo, sarà la stessa intelligenza e autonoma capacitò di mobilitazione degli operai a contribuire ad un miglioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro.
Poi, mentre penso a tutto questo, realizzo che proprio oggi, 15 ottobre, e l’anniversario dell’ultimo giorno in cui si chiuse la storica lotta dei 35 giorni nel 1980, con la capitolazione di sindacato e classe operaia. Eppure, arrivato lì davanti alla Porta 20, di questa ricorrenza storica non vi e traccia. Non una bandiera, non un simbolo. Non c’è niente. Non c’è nessuno. Ci siamo noi a distribuire questo volantino mentre qualche sparuta decina di operai entra progressivamente nello stabilimento, accettando nella maggior parte dei casi il nostro foglietto in cui ci si augura non solo la riuscita dell’imminente sciopero del settore auto previsto per il 18 ottobre, ma anche un rilancio complessivo della vertenza dei lavoratori affinché la loro concreta situazione di fabbrica possa effettivamente migliorare. Già. Perché e ormai da diverse settimane che è conclamata la “crisi” dei grandi produttori automobilistici globali, in particolare quelli europei, Stellantis inclusa. Con conseguenze ovviamente pesanti per le lavoratrici e i lavoratori del settore in termini di cassa integrazione, a fronte della decisa diminuzione delle vendite rispetto allo scorso anno. È così , sembra aumentare il pressing di sindacato e politica tutta nei confronti della proprietà aziendale e in maniera particolare dell’amministratore delegato Carlos Tavares, affinché Stellantis presenti un piano industriale in cui sia contemplato un deciso e robusto aumento dei volumi produttivi previsti in Italia, così da tutelare le prospettive di lavoro sul territorio nazionale.
Ma sarà davvero questa la soluzione?
Le condizioni di lavoro degli operai ex-Fiat
Nello scorso 2017, ormai sette anni fa, ho avuto la fortuna e l’onore di prendere parte nelle vesti di ricercatore, insieme a molte e molti ben piu illustri colleghi, ad una indagine o, se preferiamo citare Vittorio Rieser, inchiesta sulle condizioni di lavoro degli operai di tutti gli stabilimenti italiani dell’allora gruppo FCA/CNH, in modo da capire che cosa fosse cambiato durante l’era Marchionne. Si e tratta di una ricerca corposa, promossa dalle Fondazioni Giuseppe Di Vittorio e Claudio Sabattini insieme alla Fiom-Cgil, con circa 9.000 questionari distribuiti in tutta Italia cui hanno risposto altrettanti lavoratori ex-Fiat. I risultati, di cui abbiamo peraltro già parlato su Jacobin online, non sembravano lasciare spazio a dubbi: secondo il 60% degli operai intervistati la condizione di lavoro negli anni immediatamente precedenti all’indagine era peggiorata, mentre solo il 12% affermava di aver assistito a un miglioramento. Fra le cause principali di questa situazione veniva citato l’aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro, dovuto in particolare all’introduzione del sistema ÈRGO-UAS, che a partire dallo scorso 2010 ha fatto sì che agli operai venga assegnato un numero molto maggiore di operazioni di lavoro da eseguire durante il turno rispetto a quanto avveniva in passato, quando ancora vigeva un vecchio accordo del 1971. Ma c’è di più : se si disaggrega questo dato stabilimento per stabilimento, si scopre che le fabbriche in cui veniva denunciato un più marcato peggioramento delle condizioni di lavoro erano proprio quelle che in quegli anni erano state investite da un aumento dei volumi di produzione. Ad esempio, a Melfi, dove in quegli anni si producevano oltre 300.000 vetture l’anno, era addirittura l’80% degli addetti alle linee di montaggio a dichiarare che la propria condizione di lavora era peggiorata. Simile il dato relativo a Pomigliano, dove la produzione annuale di Panda era quasi raddoppiata nei pochi anni prima della ricerca: nel caso dello stabilimento campano, il 71% degli operai parlava di un peggioramento della propria situazione. Nel complesso, dunque, l’indagine restituiva una fotografia per certi versi sorprendente: lì dove si era lavorato di più le condizioni di lavoro erano peggiorate in misura maggiore rispetto a quegli stabilimenti in cui invece si era lavorato di meno e si era fatto più ricorso alla cassa integrazione, segno probabilmente dell’insofferenza degli operai verso ritmi di produzione accelerati, ossessivi e insostenibili.
Di fronte a un simile scenario, appare allora quasi spontaneo pensare che la chiave per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori Stellantis non risieda tanto in una auspicata ripresa del mercato e nell’aumento della produzione nazionale, quanto piuttosto nell’idea – forse vecchia, eppure sempre attuale – della riduzione dell’orario di lavoro a parità, però, di stipendio. Più salario, meno orario, insomma. Pena il rischio di lavorare di più, ma stando sempre peggio, come messo in evidenza dagli stessi operai dell’allora FCA nella ricerca del 2017. A ulteriore testimonianza di questo punto, basta considerare proprio la recentissima storia dello stesso stabilimento di Mirafiori: prima della crisi di vendite di questo 2024, la produzione della 500 elettrica che viene svolta a Torino aveva visto un aumento progressivo negli anni fra il 2021 e il 2023, determinando una serie di scioperi in sequenza contro le condizioni di lavoro. Insomma, sembra proprio che nel caso Stellantis lavorare di più significhi in realtà stare peggio, oltre ad essere naturalmente una garanzia per maggiori volumi di profitto a beneficio dell’azienda.
L’enfasi sulle politiche industriali e le prospettive future
Sostenere la necessita di ridurre l’orario di lavoro senza ridurre lo stipendio, nello scenario attuale di calo del mercato, può apparire velleitario. Al contrario, può emergere invece la tentazione di rivendicare innanzitutto una maggiore certezza sulle produzioni da assicurare nel prossimo futuro agli stabilimenti italiani. Effettivamente, sembra proprio questa la piega che stanno prendendo le cose, anche sul versante sindacale. Eppure, a ben vedere, e forse nemmeno così paradossalmente, e proprio in un contesto di contrazione del lavoro che bisognerebbe tornare a puntare sul vecchio adagio “lavorare meno, lavorare tutti”, senza preoccuparsi dell’impatto che questo avrebbe ovviamente sulla riduzione dei profitti aziendali. Invece, tutti gli attori in gioco appaiono concentrati sull’elaborazione di più o meno originali alchimie proprietarie, che garantiscano una quota minima di produzione nazionale senza preoccuparsi troppo di come stanno effettivamente i lavoratori. Da questo punto di vista, e significativo che soltanto pochi mesi fa, a febbraio 2024, persino il ministro Urso dell’attuale governo in carica abbia dichiarato che lo Stato italiano sarebbe disposto a ragionare di un suo eventuale ingresso nel capitale azionario di Stellantis: un ritorno dell’intervento pubblico in economia, si potrebbe dire, tutto teso però a sostenere la competitività dei bilanci aziendali e le tasche degli azionisti.
In questo quadro, emerge in maniera evidente la polarizzazione delineata nel titolo di questo articolo. Da un lato, vi e un’enfasi crescente sulle politiche industriali come possibile rimedio al rischio di disimpegno definitivo di Stellantis nel territorio italiano. Dall’altro, si assiste ad una generale trascuratezza, quanto meno nel dibattito pubblico, nei confronti delle condizioni di lavoro di chi in quelle fabbriche effettivamente produce.
Che fare, dunque? Lungi dall’essere un’insanabile dicotomia, la falsa alternativa fra politiche industriali e condizioni di lavoro meriterebbe un tentativo di riconciliazione quanto meno piu coraggioso, che si ponga l’obiettivo di migliorare davvero dal punto di vista del salario e dell’orario la situazione degli operai delle fabbriche Stellantis, nella consapevolezza che questo non puo che portare ad uno scontro anche aspro con la proprietà aziendale, certamente non risolvibile nell’alveo della compatibilità con i tradizionali canoni del meccanismo capitalistico, a cominciare dalla garanzia dei profitti per gli azionisti.
Stefano Valerio lavora a Torino come consulente nel campo dell’analisi dei dati. Nel 2023, ha pubblicato il romanzo “Saluteremo il signor padrone. Favola sociale”, edito da Buendia Books e dedicato al tema delle Grandi Dimissioni dal lavoro. La sua seconda opera narrativa, intitolata “Vuoi giocare ancora?”, affronta la questione della crisi climatica ed è attualmente disponibile in modalità crowdfunding sulla piattaforma della casa editrice bookabook.