Non è il 1980, non ci sono stati i 37 giorni ai cancelli della Fiat con Marx alle porte e tantomeno si è giocata una partita storica tra capitale e lavoro ma certamente la marcia dei trattori in tutta Europa suona come una sonora sconfitta dei movimenti sociali ed in qualche modo evoca la marcia dei quadri Fiat (che non erano più di diecimila in realtà…) contro gli scioperanti.
Per diverse ragioni di fondo.
Le politiche della Commissione europea in questi decenni hanno ridisegnato quasi per intero lo stato sociale mettendo in discussione lo stesso modello sociale europeo. Politiche che hanno incontrato una resistenza tenace in diversi paesi dell’unione ad eccezione dell’Italia che ha assistito praticamente inerme ad una “cura” particolarmente pesante.
Eppure, e qui c’è un punto di riflessione da fare, queste resistenze non sono state in grado di impedire il dispiegarsi di una progettualità complessiva tesa a ridimensionare il ruolo dello Stato in economia e progressivamente a erodere il sistema di protezione sociale a favore della rendita e della speculazione finanziaria.
La marcia degli agricoltori, non certo i contadini amici della terra ma proprietari dell’agricoltura industrializzata sebbene la composizione del movimento in alcuni paesi come la Francia contenga anche realtà legate all’esperienza campesina, nonostante siano incomparabilmente più leggeri nel loro peso rispetto a quello delle organizzazioni politiche e sociali del movimento dei lavoratori, ha tuttavia strappato uno storico dietrofront della commissione su un provvedimento fondamento stesso del carattere green dell’Unione Europea.
Poco importa quanto di green washing ci fosse in quel provvedimento, esso viene cancellato da destra per la gioia dei negazionisti di ogni risma.
E’ la vandea dell’interesse di pochi contro quello dei più che si afferma.
Il carattere corporativo della mobilitazione mainstream, istituzionalizzata e con diversi governi sponsor, non può sfuggire a nessuno.
I trattori hanno marciato sulle nostre teste per affermare che il vincolo ai profitti, ma fosse anche solo quello alla loro esistenza, viene prima del bene comune, dell’interesse collettivo a mangiare cibo di qualità senza avvelenarsi, della necessità di ridurre l’impatto ambientale di alcune produzioni considerata la drammatica situazione climatica.
E’ un nuovo radicale smottamento a destra del quadro politico quello che ha marciato per le strade d’Europa in direzione Bruxelles. Uno smottamento destinato a pesare e che testimonia, oltre alla drammatica crisi di rappresentatività e efficacia del sindacalismo europeo, la difficoltà estrema dell’umanità di liberarsi dall’avidità che segna ogni singola lobby, della indecente difesa di un modello produttivo ed economico che anche quando tutto ci conduce al rischio senza precedenti di una estinzione del genere umano, non è in grado di praticare l’interesse collettivo.
Anche i minatori bulgari che si sono opposti alla chiusura delle miniere sono parte di questo smottamento.
Le porte aperte di Ursula Von der Leyen al “movimento” dei trattori segnano la fine dei timidi, spesso contraddittori, tentativi di modificare la rotta nella gestione delle risorse del pianeta. Almeno in Europa, figuriamoci nel resto del mondo che da sempre antepone la propria crescita e il proprio interesse nazionale a qualsivoglia politica di rispetto dell’ambiente. Un senso di liberazione bipartisan sembra emergere da questo “cedimento” della Commissione europea, l’establishment approva, c’è anche chi si sfrega le mani.
La marcia dei diecimila quadri Fiat invocata e organizzata per chiudere la lunga stagione di movimenti divenne pretesto per chiedere una rapida semplificazione del sistema, una nuova gerarchia delle priorità in ossequio alla conquistata primazia del mercato e del profitto.
I sogni e i sognatori possono aspettare, anche oggi ha vinto qualcun altro.