IL LAVORO UCCIDE, IN ITALIA DI PIÙ

di Piero Santonastaso

Nessuno sa con esattezza quante siano le vittime del lavoro in Italia. Tanto meno lo sa l’Inail, che si basa sulle denunce ricevute – metà delle quali cestinate con motivazioni di varia natura -, non copre tutte le categorie lavorative e comunque esclude chiunque non sia tutelato da un contratto. Vale a dire che per l’Inail non esistono i pensionati che si arrabattano per arrotondare vitalizi da fame, non esistono i lavoratori in nero, non esistono i precari e gli immigrati. Per tacere delle cosiddette morti in itinere, cioè lungo gli spostamenti per e dal posto di lavoro, che per essere certificate devono rispondere a ferrei requisiti.

Tutto questo fa sì che la strage sia oggetto di una vera e propria rimozione, perfetto incastro in un trentennio di attacchi continui ai diritti e alla dignità del lavoro. Grazie ai rassicuranti bollettini mensili dell’Inail i media possono così annunciare – quando hanno tempo e voglia, perché di lavoro poco si occupano – che la situazione in Italia è in continuo miglioramento, dato che gli infortuni sul lavoro sono in costante diminuzione e per conseguenza anche i morti di lavoro.

Secondo l’Inail nel 2023 sono morti 1.041 lavoratori, in calo rispetto al 2022 (-49), al 2021 (-180), al 2020 (-229) e al 2019 (-48). È facilmente prevedibile che a maggio, quando saranno diffusi i definitivi sia del 2023 che dell’ultimo quinquennio, assisteremo alla recita di grandi peana e sperticate lodi all’inversione di tendenza favorita – e come ti sbagli – dalla rigorosa attuazione delle politiche meloniane e dall’occhiuto ministero di Maria Elvira Calderone. Pane e propaganda, invece di pane e lavoro.

La realtà è un’altra ed è ben diversa. Elaborando quotidianamente e con criteri puramente giornalistici le notizie di pubblico dominio – perché va sottolineato che una procura, una questura, un comando che decidano di non comunicare un fatto oggi sono nel loro pieno diritto – noi abbiamo contato per il 2023 ben 1.204 morti di lavoro (1), con un balzo del 10,4% sull’anno precedente (+115) e una media quotidiana di 3,3 vittime. Aumentano soprattutto le morti sui luoghi di lavoro, ben 154 in più, cioè +20%, mentre le morti in itinere diminuiscono di 34 unità, con un calo che sfiora l’11%.

Tra le regioni, la Lombardia detiene saldamente il primato delle vittime: 160. Seguita da Veneto 125; Campania 109; Lazio 93; Piemonte 80; Emilia Romagna 79; Sicilia 78; Puglia 73; Toscana 69; Abruzzo 61; Calabria 51; Marche 40; Sardegna 35; Friuli Venezia Giulia 34; Umbria 27; Liguria 25; Basilicata 17; Alto Adige 15; Estero 14; Trentino 11; Molise 5; Valle d’Aosta 4.

Il 2024 è iniziato, purtroppo, in linea con il 2023. Al 12 febbraio contiamo 117 vittime del lavoro, 7 in meno rispetto all’anno scorso, legate a un mese di gennaio che aveva fatto sperare in un’inversione di tendenza: 79 morti, con una media quotidiana di 2,5 vittime. Con i 38 morti di febbraio, però, la media è schizzata a 3,1. La Lombardia continua a svettare nel tributo di sangue all’altare del profitto: 22 morti, seguita da Emilia Romagna e Campania con 12.

Eppure siamo in un Paese in cui il Presidente della Repubblica usa parole di estrema chiarezza: “Morire in fabbrica, nei campi, in qualsiasi luogo di lavoro è uno scandalo inaccettabile per un Paese civile, un fardello insopportabile per le nostre coscienze, soprattutto quando dietro agli incidenti si scopre la mancata o la non corretta applicazione di norme e procedure. La sicurezza non è un costo, né tantomeno un lusso: ma un dovere cui corrisponde un diritto inalienabile di ogni persona. Occorre un impegno corale di istituzioni, aziende, sindacati, lavoratori, luoghi di formazione affinché si diffonda ovunque una vera cultura della prevenzione” (Sergio Mattarella, 8 ottobre 2023, Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro).

Evidentemente governo e padronato devono essersi distratti.

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(1) I nostri numeri differiscono da quelli dell’Osservatorio di Bologna rilanciati da Cub dopo un’integrazione con i dati Inail. L’Osservatorio parla di 1.467 morti, Cub di 1.485, differenza con i nostri dati giustificata con le morti in itinere, che per loro superano le 500 unità mentre per noi sono meno di 300. Numeri non da poco, ma l’errore è sempre in agguato: Cub ad esempio dà uno spaccato per regione il cui totale è 1435, con la sparizione di 50 vittime.