EX ILVA LO STATO DEI PESSIMI CONSIGLI

Foto Alberto Vaccaro da Flikr

Ancora una volta il diritto sembra essersi fermato davanti alla primazia del profitto nella lunga, drammatica e surreale vicenda dell’acciaieria Tarantina.

Eppure la recente conclusione, in prima istanza, del processo “Ambiente svenduto ” aveva suscitato la speranza, più che fondata, che questa volta le formidabili pressioni per mantenere attiva l’area a caldo dello stabilimento siderurgico non avrebbero retto davanti alla sentenza del TAR di Lecce che ne imponeva lo spegnimento in modo più che motivato.

Quello che lo Stato ha imposto sembra essere invece un suo pessimo consiglio: Taranto deve continuare a produrre acciaio nonostante il conclamato mancato rispetto del diritto alla salute ed alla sicurezza per chi lavora nell’acciaieria.

Una sconfitta pesante per i movimenti ambientalisti e per i cittadini che da anni denunciano la nocività delle produzioni a caldo per la salute e l’ambiente.

Risulta davvero incomprensibile la soddisfazione di FIM FIOM e UILM davanti alla sentenza mortifera.

Non solo perché riconferma la vocazione produttivistica del sindacato confederale anche quando la salute e la sicurezza sono a rischio, ma per la semplice ragione che l’unico vincitore della vicenda è padron Mittal, capace in un sol colpo di sbeffeggiare più volte il governo, non rispettare gli impegni presi e organizzare una nuova pesante ristrutturazione a suon di migliaia di licenziamenti.

Tutti sanno, o dovrebbero sapere, che la presunta riconversione ecologica (bisognerebbe discutere di cosa si intende per ecologica, quanto veleno è accettabile, ecc..) dello stabilimento è quantomeno difficile.

Non solo per le condizioni concrete dello stabilimento e per i costi esorbitanti persino superiori alla costruzione ex novo di un siderurgico cosiddetto green. C’è una ragione che prevale sulle altre ed è la mai smentita mancanza assoluta di volontà da parte di Mittal di rilanciare lo stabilimento tarantino continuando a costruire le condizioni per il suo disimpegno da Taranto al termine dell’operazione di speculazione industriale e finanziaria in atto.

Così il pubblico, da qualche mese nella società, servirà a coprire le perdite e i costi sociali.
Uno scenario più che possibile, assai probabile.

Il governo Draghi ha testimoniato, in continuità con quelli Conte e Gentiloni, la subalternità a Mittal, ne ha accettato i ricatti ed oggi si appresta, per la seconda volta, a ridiscutere in peggio le condizioni pattuite al momento della cessione del gruppo ovvero ancora soldi pubblici e via libera ai licenziamenti.

La vicenda Ilva è sempre più cartina di tornasole della condizione generale del paese.

Si butta la palla avanti nella speranza che non esploda qui e ora, ben sapendo che è solo una questione di tempo: l’area a caldo chiuderà.