DI PIERLUIGI PENNATI
L’attacco al CGIL prima fisico e poi informatico, la manifestazione di solidarietà, prima del governo e poi di tutte le forze politiche in corteo fanno quasi pensare che fosse tutto organizzato, o forse no, in ogni caso un risultato è stato raggiunto: rilanciare sindacati ormai moribondi e sempre più complici delle controparti che stavano perdendo troppo terreno nei confronti del sindacalismo di base e della destra sempre più incalzante.
Non è un segreto che CGIL CISL e UIL da molti anni siano in ribasso, riducendo la loro presenza nel mondo del lavoro praticamente alla sola assistenza, sia essa fiscale o di patronato, mentre nella contrattazione emerge il quarto incomodo che disturba la serenità della loro concertazione, ovvero quella UGL portata agli altari dai governi di centro destra ed unico sindacato di destra nel panorama mondiale, ed i sindacati di base che sono i primi ad accorrere nei luoghi di lavoro estremi, ormai troppi, ed a difendere gli ormai indifendibili, ovvero quei lavoratori che per la loro inerzia sindacale sono vessati a norma di legge o, se si preferisce, in punta di diritto ormai smantellato da una giurisprudenza sfavorevole e senza contrasto.
Così mentre il governo aumenta benzina, elettricità, gas, tasse sulla casa e tutto quello che è possibile ritoccare al rialzo i veri problemi sembrano essere solo il green pass nei luoghi di lavoro, al ristorante sembra essere già ormai quasi dimenticato, e l’antifascismo, anzi, tutti gli antifascismi, quando questi argomenti fanno parte di un tessuto complessivo di problemi spesso costruiti ad arte ed ormai sfuggito al controllo delle masse con la complicità della stampa e dei social media che invece di tentare di fare ordine contribuiscono a generare divisioni e scompiglio secondo l’antica e sempre valida regola divide et impera.
Ma in effetti un grosso problema incombe da tempo ed è il sindacalismo, no, non quello di base o quello rivoluzionario solamente, tutto il sindacalismo in sé stesso, ovvero tutto quel complesso di dottrine e movimenti che hanno come fondamento e come fine l’organizzazione dei lavoratori e la tutela dei loro diritti e dei loro interessi economici che è il vero problema che frena l’avanzare dell’economia di mercato in favore dell’economia reale, l’interesse dei mercati cui oggi sono stati affidati i destini del popolo che preme per prevalere contro la produzione legata all’economa reale, al benessere delle persone.
In questa direzione, la scelta concertativa dei sindacati tradizionali, ovvero la CGIL nata dalla CGdL ante ventennio fascista e CISL e UIL nate dalla successiva scissione dalla CGIL, ha segnato un grande confine, quello della fine della conflittualità di queste organizzazioni in favore della discussione “economicamente sostenibile”, ovvero la fine della conquista e della difesa dei diritti dei lavoratori sostituita dal “ciò che si può fare” con quello che si ha, ovvero dallo scambio di diritti con salario che ha portato negli anni alla perdita quasi totale dei diritti già acquisiti senza che il salario aumentasse nella realtà perché favorito dalla svalutazione e dalla competizione sottesa alla precarietà.
Nel nome del salvataggio dei lavoratori con la concertazione è iniziata quindi una fase discendente per il sindacalismo che ha portato le organizzazioni sindacali tradizionali, CGIL CISL e UIL, a trasformarsi esse stesse in aziende con migliaia di dipendenti il cui scopo sociale si è trasformato principalmente nella sola l’assistenza fiscale e le convenzioni con lo Stato per le attività di patronato, sopravvivendo sulla necessità di aiuto delle classi sociali meno abbienti e dei disperati invece che lottare per stabilizzarne i diritti o/e conquistarne di nuovi.
È ormai fissato nella storia che l’attività commerciale prevalente della triade sindacale e l’infingardaggine organizzativa ad essa necessariamente sottesa abbiano generato loro nuovi pericoli, prima di tutti la nascita di sindacati autonomi di base in continuità di conflitto con le controparti, parzialmente sopita e controllata conservandone la subalternità con l’allargamento della rappresentatività alle RSU al posto delle RSA, e l’avanzare successivo di una UGL la cui pari dignità veniva fornita direttamente dai governi, rendendo necessario oggi un intervento di rilancio.
Per questo quanto successo nei giorni scorso lascia perplessi, prima il palazzo aggredito, che non è un palazzo qualsiasi e non appartiene solo alla storia della CGIL essendo l’edificio che fino al 1944, quando gli fu affidato, ospitava la Confederazione Fascista dei Lavoratori dell’Agricoltura e quindi monumento simbolo del riscatto sindacale repubblicano in continuazione ideale con quella Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) del 1906 che fu sciolta durante il fascismo.
Un attacco, quindi, non alla sola CGIL, ma al principale simbolo di tutti i sindacati e del sindacalismo italiano nella disponibilità di quella CGIL che oggi aveva la necessità di affrancarsi nuovamente come unico sindacato dei lavoratori spazzando via dalla scena tutti gli altri.
Missione compiuta quindi, che sia stata provocata o casuale, nelle piazze di sabato 16 ottobre 2021, data che può già essere considerata storica, il sindacalismo è stato l’unico vero perdente e la CGIL la sola protagonista delle cronache nazionali, anche se le fedeli CISL e UIL erano presenti anche come organizzatori ufficiali, tagliando fuori tutti gli altri sindacati costretti a restare a guardare il loro trionfo lamentandosi nelle retrovie.
Al contrario tutti i sindacati che si riconoscono nell’antifascismo e nel sindacalismo avrebbero dovuto esprimere solidarietà e presenza, non per rubare la scena, ma per testimoniare con i fatti la loro diversità ed estraneità da chi assalta fisicamente le istituzioni dei lavoratori ed il simbolo delle lotte operaie che nonostante tutto e tutti la CGIL ancora rappresenta.
In questo modo sabato 15 ha vinto ancora una volta una bandiera sorretta dai lavoratori, mentre dovrebbero essere i lavoratori ad essere sorretti dalla bandiera, ha vinto l’organizzazione politica e perso il sindacalismo in un tifo da stadio cui ci siamo purtroppo oggi abituati anche attraverso i social e la stampa a tutti i livelli, rendendo i lavoratori ancora più poveri, come in passato, non ci si può seriamente aspettare che CGIL CISL e UIL invertano la tendenza degli ultimi decenni muovendo da domani realmente contro la politica del Governo e di Confindustria di spoliazione di diritti, stabilità e dignità dei lavoratori.
Ma se non può essere atteso un cambio repentino di passo delle associazioni storiche dei lavoratori è certo che il sindacalismo almeno idealmente non è morto e può ancora riscattarsi, lo ha dimostrato la grande manifestazione di cinque giorni quando sotto un’unica organizzazione tutti i sindacati di base conflittuali hanno portato un milione di persone allo sciopero in tutta Italia ed invaso i capoluoghi di provincia e la capitale con almeno altre 100.000 presenze al pari di CGIL CISL e UIL, anche se nell’ostracismo silente della stampa ufficiale che ha relegato la notizia della manifestazione contro il Governo alla quinta o sesta pagina interna di tutti i giornali.
Sono questi sindacati contro? Cui prodest?
Probabilmente no, non sono sindacati contro altri sindacati, ma il sindacalismo che vede la lotta come strumento principale di riscatto contro la concertazione che siede ai tavoli sempre ed a tutti i costi e non deve per questo essere temuta la competizione tra sindacati, ma è necessaria l’applicazione di una democrazia sindacale universale, permettendo alle voci che oggi sono forzatamente relegate ad un ruolo di minoranza di potersi confrontare e verificare se, al contrario, non siano invece maggioranza sommersa, gli stessi movimenti di opposizione interna alla CGIL e con essa critici, prima “il sindacato è un’altra cosa” e poi “riprendiamoci tutto”, lo testimoniano, non facendo sconti alle critiche di politica moderata e consociativista prima di Camusso ed oggi di Landini in perfetta continuità.
Non serve un unico sindacato, ma un sindacato unico, ovvero una legge universale sulla democrazia sindacale che metta tutti sullo stesso piano e dia a tutti la possibilità di emergere democraticamente affinché le istanze reali dei lavoratori siamo portate in discussione nello spirito del sindacalismo e non solo le esigenze interne di ogni organizzazione sindacale.
Ma non basta, serve anche una legge sul salario minimo già presente in 21 dei 27 Paesi membri dell’unione europea ed in discussione al suo parlamento con il conforto anche dalle tesi a supporto che hanno portato David Card al premio Nobel per i suoi studi sul mercato del lavoro, studi che sono in netto contrasto con quanto approvato frettolosamente con la legge 30/03 dal governo Berlusconi II sulla scia emotiva dell’omicidio di Marco Biagi che ne aveva legittimato temporaneamente le tesi a scatola chiusa e poi confutati dalla pratica con l’evidenza dell’attuale situazione di sfruttamento, precarietà e caporalato legittimato e diffuso.
Serve quindi un rilancio del conflitto sociale sindacale e non una compartecipazione delle organizzazioni sindacali a mero supporto delle decisioni delle controparti e del Governo di turno in una tendenza che ormai da molti anni, salvo un moderato rallentamento a cavallo della pandemia, pensano solo a sanare numericamente i conti dello stato senza tenere conto della dignità dei suoi cittadini i cui diritti e libertà sono sempre più compressi in nome del profitto.
Serve quindi un cambio di passo generale nella direzione indicata nel primo dopoguerra da quello che allora era ancora a pieno titolo il sindacato dei lavoratori.
Serve che comunque si chiami il sindacato, esso applichi le politiche di lotta Di Vittorio e le teorie di salvaguardia di Keynes in favore di dignità e diritti ormai negati per quello che nonostante tutto è ancora indicato come fondamento della nostra nazione: il lavoro.
L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro, la sovranità spetta al popolo.