CGIL, GIORGIA MELONI AL CONGRESSO

DI FABRIZIO BURATTINI

Maurizio Landini dice di aver un po’ “corteggiato” Giorgia Meloni per convincerla ad intervenire venerdì al 19° congresso della CGIL, che si svolgerà a Rimini da domani fino a sabato 18.

Dunque un congresso, che dovrebbe essere finalizzato a discutere della drammatica situazione del mondo del lavoro nel nostro paese (salari fermi da trent’anni e falcidiati da una rinnovata inflazione, precarietà dilagante anche nel lavoro “garantito”, lavoro nero imperante in numerosi settori e in ampie zone del paese, povertà, angherie padronali, licenziamenti e delocalizzazioni, ecc.) e di come affrontarla, e che invece sceglie di collocare nel momento clou del dibattito l’intervento della principale esponente della prima controparte dell’azione sindacale.

E non si tratta di una qualunque premier: vanno ricordati l’impostazione smaccatamente reazionaria, razzista e classista della politica della Meloni (tale da far impallidire la già vergognosa politica di Draghi), il progetto governativo di impoverire ancora di più i poveri cancellando il già misero Reddito di cittadinanza, il progetto di riforma fiscale ancor più favorevole ai redditi alti, l’atteggiamento di banalizzazione delle aggressioni squadristiche, il comportamento del governo nei confronti dei migranti, l’indecente karaoke dopo l’osceno consiglio dei ministri a Cutro…

Landini ricorda che già in passato altri premier intervennero al congresso. Ripetere un errore non lo trasforma però in una scelta giusta. E comunque era una fase storica totalmente diversa, anche se quella fase, quella della “concertazione”, preparò quella attuale della irrilevanza del sindacato. Non a caso lo stesso Landini denuncia che “il governo non ci ascolta”, mentre il sindacato e i mille delegati del congresso saranno obbligati ad ascoltare (come se già non bastassero le ore di conferenze stampa e di talk show) una ennesima performance oratoria del “signor presidente”.

Per Landini l’accettazione dell’invito da parte di Giorgia Meloni costituirebbe “un segno di rispetto”. In realtà è l’ennesima riprova della realtà di un governo che, approfittando della subalternità riverente del sindacato, lo prende per i fondelli e, cosa ancora più grave, si prepara a colpire nuovamente e ancor più dolorosamente lavoratrici e lavoratori, i loro diritti e le loro condizioni di vita.

La platea di Rimini, salvo qualche eccezione coraggiosa ma che, ahimé, confermerà la regola, sarà obbligata dal “bon ton” (e dal servizio d’ordine) ad applaudire rispettosamente la capofila dei nemici delle lavoratrici e dei lavoratori che il sindacato sarebbe chiamato a rappresentare. E quell’applauso confermerà la linea della rassegnazione che la Cgil (assieme a Cisl e Uil) hanno perseguito pervicacemente (e purtroppo con successo) da almeno 20 anni a questa parte…